Francesco nella Sinagoga di Roma dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
2016-01-15 Radio Vaticana
Cresce l’attesa per la visita di Papa Francesco, domenica prossima, al Tempio Maggiore di Roma. Si tratta della terza visita di un Successore di Pietro alla Sinagoga di Roma, dopo quelle di San Giovanni Paolo II nel 1986 e di Benedetto XVI nel 2010. Su questi storici incontri, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco:
Sono passati quasi 30 anni dalla prima storica visita del Successore di Pietro in un tempio ebraico. E’ il 13 aprile 1986: Giovanni Paolo II, accolto dalle autorità religiose ebraiche, entra nella Sinagoga di Roma.
La visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma
Papa Wojtyła afferma di raccogliere l’eredità di Giovanni XXIII che nel 1959, passando in macchina davanti al Tempio Maggiore di Roma, fece fermare l’auto per benedire la folla di ebrei. Giovanni Paolo II ricorda anche che il Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Elio Toaff, partecipò alla veglia di preghiera prima della morte di Papa Roncalli, un Pontefice – sottolinea Papa Wojtyła – aperto a tutti e in particolare ai fratelli ebrei:
“Il Rabbino capo, nella notte che ha preceduto la morte di Papa Giovanni, non ha esitato ad andare a Piazza san Pietro, accompagnato da un gruppo di fedeli ebrei, per pregare e vegliare, mescolato tra la folla dei cattolici e di altri cristiani, quasi a rendere testimonianza, in modo silenzioso ma così efficace, alla grandezza d’animo di quel Pontefice, aperto a tutti senza distinzione, e in particolare ai fratelli ebrei”.
L’abbraccio di Giovanni Paolo II con il Rabbino Elio Toaff, entrambi testimoni dell’orrore del nazismo, abbatte un plurisecolare muro di incomprensione. Toccanti le parole con cui il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma si rivolge al Pontefice:
“Santità, come Rabbino capo di questa comunità, la cui storia si conta in millenni, desidero esprimerle la viva soddisfazione per il gesto da lei voluto e da lei oggi compiuto di venire, per la prima volta nella storia della Chiesa, in visita ad una Sinagoga. Gesto destinato a passare alla storia”.
La visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma
Ed è storica, 24 anni dopo quella giornata, anche la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. E’ il 17 gennaio del 2010. Il Pontefice rievoca la tragedia della Shoah, ribadisce l’irrevocabilità del cammino di amicizia tra ebrei e cattolici intrapreso con il Concilio Vaticano II. Possano per sempre essere sanate – sottolinea Papa Benedetto – le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo. E poi indica, tra i campi di collaborazione, il riconoscimento dell’unico Dio “contro la tentazione di costruirsi altri idoli”:
“Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono e devono offrire assieme”.
Grande attesa per la visita di Papa Francesco
Papa Francesco, domenica prossima, sarà dunque il terzo Successore di Pietro nella storia a visitare la Sinagoga di Roma. Sarà accolto dal Rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, al quale il Santo Padre all’inizio del Pontificato ha inviato un messaggio esprimendo la speranza “di poter contribuire al progresso che le relazioni tra ebrei e cattolici hanno conosciuto a partire dal Concilio Vaticano II”.
Ancora insieme, di nuovo in cammino
Pubblichiamo un articolo del direttore dell’Osservatore
Romano uscito nel numero di gennaio di «Pagine ebraiche. Il giornale dell’ebraismo italiano».
In un tempo mediaticamente ossessionato
dalle prime volte (che spesso prime non
sono affatto), che interesse e che senso
può avere la visita di papa Francesco alla comunità
ebraica di Roma? Non è difficile rispondere
che proprio la consuetudine degli
incontri tra il pontefice, capo visibile della
chiesa cattolica, ed esponenti o comunità
dell’ebraismo mondiale, ormai moltiplicatisi
soprattutto negli ultimi anni, rendono questo
nuovo incontro, dopo quelli dei suoi predecessori,
non meno significativo, ma al contrario
ancora più rilevante nella crescita irreversibile
della reciproca conoscenza (ancora scarsa, per
la verità) e dell’amicizia.
Per la visita, come per quella di Benedetto
XVI, è stato scelto il giorno in cui in Italia si
celebra il dialogo tra cattolici ed ebrei, fissato
non casualmente alla vigilia della settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani. In modo
analogo, l’organismo della Santa sede deputato
ai rapporti con l’ebraismo è inserito in
quello istituito per favorire l’unione tra le confessioni
cristiane tra loro separate. In modo da
esprimere una realtà antica e di cui si va sempre
sempre
più prendendo coscienza, e cioè che la
prima dolorosa separazione è stata proprio tra
sinagoga e chiesa.
Separazione che ha portato a una storia
complicata, fitta di incomprensioni, inimicizie,
disprezzo, violenze, persecuzioni, ma anche di
vicinanza e rapporti fecondi. Attraverso vicende,
dialettiche e tensioni fortissime, anche se
queste mai hanno portato ebrei e cristiani a
troncare un legame che non può né potrà essere
reciso e il cui significato sarà rivelato soltanto
alla fine dei tempi. Meno di trent’anni
dopo il supplizio sulla croce e la resurrezione
di Gesù, il maestro di Nazaret, è già Paolo a
intuire questa storia misteriosa quando detta
la sua lettera alla comunità cristiana di Roma,
di origine ovviamente giudaica e che ancora
non conosce.
Nell’età moderna e in quella contemporanea,
nuove persecuzioni, l’assimilazione in alcuni
paesi europei, giudeofobie, antigiudaismi
e antisemitismi diversi s’intrecciano fino al
maturare e allo scatenarsi del male radicale
nella shoah, con lo sterminio di sei milioni di
ebrei nel vecchio continente. La tragedia, quasi
indicibile nel suo orrore, porta di fatto a
una vicinanza e a una volontà di comprensione
nuove tra cristiani ed ebrei. Fino alle intuizioni
di Giovanni XXIII e soprattutto alla determinazione
di Paolo VI, che con pazienza
porta il concilio a votare quasi all’unanimità
una dichiarazione apertamente positiva sulle
religioni non cristiane, e in particolare
sull’ebraismo.
La visita del primo vescovo di Roma venuto
dall’America alla più antica comunità della
diaspora giudaica avviene appunto cinquant’anni
dopo l’approvazione del testo conciliare.
Per ragioni anagrafiche Bergoglio è anche
il primo papa a non avere partecipato al
Vaticano II, ma del concilio che ha cambiato il
volto della chiesa cattolica è figlio, viene da
un paese, l’Argentina, dove è radicata una forte
minoranza ebraica, e come vescovo ha alle
spalle una storia di consuetudine e di amicizia
con diversi esponenti dell’ebraismo.
Nei decenni successivi al Vaticano II i rapporti
di conoscenza, amicizia e collaborazione
tra moltissimi cattolici ed ebrei si sono intensificati
al punto non solo di bilanciare ma addirittura
di soverchiare resistenze e opposizioni
che si ritrovano comunque, anche tenaci, in
entrambe le parti. Più difficile invece è superare
l’indifferenza, l’ignoranza e la diffidenza
reciproche. In questo un uomo su tutti va ricordato
per quanto ha fatto a favore dell’avvicinamento
tra le due comunità, e questi è Elio
Toaff, per mezzo secolo rabbino capo di Roma,
ricordato da Giovanni Paolo II nel suo testamento
testamento
singolarmente dominato da una visione
mistica della storia.
Francesco arriva dunque nel Tempio Maggiore
di Roma accompagnato da una storia
lunghissima e che nelle ultime settimane è stata
segnata da due documenti molto importanti:
una dichiarazione, tanto breve quanto importante,
di venticinque rabbini ortodossi, in
gran parte israeliani e statunitensi, sul significato
e sul valore del cristianesimo, da una parte,
e dall’altra un lungo documento della commissione
della Santa sede per i rapporti con
l’ebraismo sulla irrevocabilità dei doni di Dio
al popolo della prima alleanza. Testi che costituiscono
un reciproco impegnativo riconoscimento,
nell’affermazione esplicita che una e
indivisibile è la vocazione di ebrei e di cristiani:
un passo avanti che non è azzardato definire
di portata storica.
g. m.v.